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Il caso

  • GIALLOsuGIALLO
  • 10 feb 2016
  • Tempo di lettura: 6 min

LUOGO:

PORDENONE

ANNO:

2015

E' il 17 marzo del 2015 quando vengono rinvenuti - nei pressi del “Palazzetto dello Sport Crisafulli” di Pordenone - i corpi esanimi di due giovani fidanzati: Teresa Costanza (30 anni) e Trifone Ragone (29 anni). La testa di Teresa è reclinata, appoggiata al finestrino; entrambi sono stati freddati in automobile con cinque colpi di pistola. A prima vista sembrerebbe un’esecuzione. Ma, man mano che le indagini proseguono, il mistero del duplice delitto di Pordenone si infittisce.

Non c'è movente. Teresa e Trifone sono una coppia affiatata: due ragazzi sportivi, bellissimi, pieni di amici, forse prossimi al matrimonio. Un amore, il loro, quasi da romanzo rosa.

Trifone Ragone, è originario di Monopoli (Bari) ed è un sottufficiale dell’esercito. Teresa Costanza, di origini siciliane, lavora come assicuratrice dopo essersi laureata alla Bocconi nel 2010. Vivono a Pordenone da un paio d’anni e nel tempo libero frequentano regolarmente la palestra (infatti vengono uccisi dopo l’ultimo allenamento).

La ricostruzione della scena del crimine ci racconta di qualcuno che avrebbe pazientemente atteso che i due entrassero in auto: Teresa al posto di guida, Trifone lato passeggero. Quindi, affacciandosi proprio sul finestrino di Trifone, l'assassino avrebbe esploso i colpi, a bruciapelo. Il medico legale conterà cinque colpi 7,65 sparati dall’alto verso il basso: tre colpiscono lui, due lei. Un sesto sfiora il labbro della donna.

Non ci sono testimoni: nessuno ha visto niente, anche se i rumori, come di “mortaretti”, non sono passati inosservati. L’allarme lo lancia un allenatore sportivo quando, uscito dalla palestra, nota la macchina col vetro frantumato e i due corpi, ormai senza vita, riversi all’interno. All’inizio si ipotizza un omicidio-suicidio ma nel giro di poco tempo ci si rende conto che non può essere.

Manca l'arma del delitto: la perquisizione dell’abitacolo fa escludere ogni ipotesi suicidiaria perchè manca l’arma. È un duplice omicidio, così come conferma il Procuratore della Repubblica Marco Martani.

Lo stesso capo del Ris, Giampiero Lago, convocato per cercare di imprimere una svolta alle indagini, avrebbe così spiegato ai giornalisti: “Non mi sono mai trovato di fronte a un delitto del genere, caratterizzato da una così marcata sproporzione fra il profilo normale delle due vittime e le modalità di esecuzione che fanno pensare alla criminalità più spietata. È questa l’anomalia che rende difficile la soluzione del giallo, a meno di sorprese dell’ultima ora”. Chi avrebbe voluto la morte della coppia più bella di Pordenone?

In assenza di testimoni, di moventi concreti e di altri elementi probatori - come le immagini delle telecamere di sicurezza della zona - tutte le piste restano aperte, anche se quella passionale resta la più battuta. Vengono sentiti parenti, amici, colleghi di lavoro. Pare tuttavia che negli ultimi tempi Trifone avesse detto ad un amico che un uomo infastidiva Teresa. Che avesse un geloso molestatore? Trifone, a sua volta, avrebbe lavorato anche come buttafuori. Scavando nel passato dei due sono poi emersi ulteriori dettagli: il nonno di Trifone era stato un generale della Guardia di Finanza e per anni aveva combattuto la Sacra Corona Unita mentre uno zio di Teresa, era rimasto vittima della “lupara bianca” in Sicilia. Un’esperienza terribile, tanto che la famiglia di Teresa aveva deciso di trasferirsi al nord. Ma gli episodi, per entrambi, risulterebbero troppo lontani nel tempo per avvalorare un'ipotesi "mafiosa".

Ma 6 mesi di distanza dal ritrovamento dei due cadaveri, finalmente c'è la prima svolta che arriva dal ritrovamento di un caricatore sul fondale di un laghetto vicino al luogo dell’agguato. Secondo il Ris di Parma sarebbe compatibile compatibile con la vecchia Beretta 7,65 - un’arma vecchia, piccola, antecedente alla seconda guerra mondiale, secondo il perito balistico Pietro Benedetti che ne ha analizzato i bossoli - utilizzata per tendere l’agguato la sera del 17 marzo al caporal maggiore Trifone Ragone e alla sua fidanzata Teresa Costanza. Sul luogo del delitto l’unica traccia trovata restano i sei bossoli calibro 7,65. La beretta è ancora dotata di matricola e, proprio tramite di essa, si risale a Ruotolo poiché il caricatore ritrovato sarebbe compatibile con un esemplare facente parte della collezione d’armi d’epoca della famiglia.

La lucidità dell'assassino aveva subito fatto pensare ad un professionista del crimine, incredibilmente riuscito a uccidere senza lasciare tracce o farsi vedere dagli sportivi che stavano a pochi metri da lui. In quest’ottica si presume che dovesse conoscere bene i luoghi, visto che il cancello automatico del parco in cui c’è il laghetto si chiude alle 20: e il duplice delitto è stato consumato tra le 19,40 e le 19,50. Ma se così fosse l’assassino doveva anche essere certo di trovare i due fidanzati fuori dalla palestra prima delle 20.

A sorpresa viene indagato Giosué Ruotolo, un ex coinquilino e commilitone campano di Trifone, anche lui residente a Pordenone. I due pare condividessero lo stesso appartamento insieme ad altri colleghi prima che la vittima si trasferisse a convivere nel condominio di Via Chioggia, assieme a Teresa Costanza, pochi mesi dopo averla conosciuta. Ruotolo non avrebbe un alibi per la sera e l'ora del delitto in quanto alle domande degli inquirenti avrebbe risposto di trovarsi nella propria abitazione, da solo.

Ruotolo risiede in una delle strade centrali di Pordenone ad una manciata di minuti dal Palazzetto dello Sport e dallo stesso laghetto dove i sommozzatori dell'Arma hanno rinvenuto il caricatore della pistola che potrebbe essere stata usata dal killer.

Successivamente, i residui biologici rinvenuti sull’Audi e sugli indumenti sequestrati al giovane caporale Ruotolo, invece, hanno reagito al luminol debolmente. Così come si scandagliano tutti i supporti informatici: scambi di messaggi sui telefonini e contenuto degli hard disk vengono passati al setaccio dagli inquirenti. È qui che si cerca una traccia dell’ipotetico movente. Emergono anche storie di piccoli screzi e tensioni fra Giosuè e Trifone durante il periodo di condivisione dell'appartamento. Nulla però tale da costituire una ragione per uccidere.

Interviene un nuovo colpo di scena: sul registro degli indagati per il duplice delitto di Trifone Ragone e Teresa Costanza spunta un nuovo nome, quello di Rosaria Patrone, 24 anni, fidanzata di Giosuè Ruotolo, il militare indagato, iscritta sul registro degli indagati con le accuse di istigazione, favoreggiamento e false attestazioni. E mercoledì 24 dicembre 2015 la donna viene interrogata per chiarire alcune contraddazioni rilevate nel suo racconto. L’ipotesi degli investigatori è che Rosaria abbia fornito alibi o comunque una copertura a Giosuè, omettendo alcuni dettagli nel suo racconto o modificando cronologia su internet e il testo di alcuni messaggi in chat.

La procura della Repubblica di Pordenone attende l’esito delle perizie scientifiche sul materiale sequestrato a Ruotolo ed è al lavoro per chiudere il quadro probatorio, dopo una proroga delle indagini.

Intanto si arriva a febbraio 2016 e gli inquirenti lavorano freneticamente. Si scoprono tutta una serie di strani messaggi via chat che sarebbero stati creati ad arte per ingelosire Teresa e farle credere che Trifone la tradisse con una fantomatica amante, tale "Annalisa" (un falso profilo facebook). Teresa avrebbe dunque confidato al suo uomo le sue angosce e lui a quel punto avrebbe individuato il colpevole: l'invidioso collega, forse innamorato di lui, forse geloso del fatto che alla sua fidanzata potesse piacere Trifone, forse persino invaghito di Teresa. Sta di fatto che nel momento in cui Teresa confida tutto a Trifone, questo litiga pesantemente con Giosué Ruotolo e lo scontro fra i due è tale da spingere il commilitone ed ex coinquilino Giosuè a covare vendetta e a scegliere l’estremo, tragico, folle rimedio: uccidere entrambi. Giosuè uccide dunque anche Teresa scomoda testimone.

Così gli inquirenti, dopo mesi di indagini, arrivano ad ipotizzare il movente del duplice delitto. L'8 marzo 2016 viene disposta la custodia cautelare per Giosue' Ruotolo, il ventiseienne di Somma Vesuviana accusato di duplice omicidio aggravato dalla premeditazione, e per la sua fidanzata Maria Rosaria Patrone.

Secondo il GIP, Alberto Rossi, sussisterebbe sia la possibilità di inquinare le prove che un generico pericolo di reiterazione del reato: così come avrebbe ucciso Teresa per eliminare un testimone che avrebbe potuto indirizzare i sospetti degli inquirenti sul commilitone di Trifone, Ruotolo potrebbe uccidere ancora «per ritorsione e vendetta amici o conoscenti che lo avrebbero tradito». Cinque, forse sei secondi per uccidere Teresa e Trifone. Sette minuti per disfarsi della pistola nel laghetto del parco di San Valentino e poi tornare a casa. Così viene smontato dai Carabinieri l’alibi di Ruotolo, cui si sarebbe aggiunta la rivelazione di un "testimone chiave": un runner, un atleta che stava facendo jogging attorno al palazzetto dello sport al momento del delitto. "E' stato lui", avrebbe detto il procuratore di Pordenone, Marco Martani, "che ha incrociato le vittime mentre stavano per salire sulla loro auto incamminandosi lungo via Amendola, indicando precisamente ai carabinieri la zona dove si trovava in quell'istante. Lo stesso atleta ha completato il proprio allenamento nella stessa zona del parco di San Valentino. Si tratta di 420 metri percorsi in un lasso di tempo compreso tra due minuti e mezzo e tre minuti. La medesima telecamera inquadra trenta secondi prima la vettura di Ruotolo: cioè poco dopo che l'omicidio è stato commesso. La vettura di Ruotolo si doveva quindi per forza trovare nel luogo in cui l'omicidio è stato commesso". E conclude parlando di un "quadro accusatorio con prospettive dibattimentali».

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