Il caso
- GIALLOsuGIALLO
- 11 feb 2016
- Tempo di lettura: 3 min

LUOGO:
GARLASCO (PV)
ANNO:
2007
Chiara Poggi, 26 anni, viene trovata morta nella villetta di famiglia a Garlasco, il 13 agosto del 2007. E’ stata barbaramente assassinata a colpi di oggetto contundente, oggetto mai rinvenuto né identificato (forse un martello). Secondo gli inquirenti Chiara avrebbe avuto una certa confidenza con l'assassino, avendogli aperto la porta di casa in maniera spontanea (non sono stati rilevati segni di effrazione) e vestita del solo pigiama.
La ragazza, quando viene uccisa, è da sola in casa poiché i genitori e il fratello sono altrove, in vacanza.
Il fidanzato Alberto Stasi, studente alla Bocconi, è il primo a trovare il corpo della ragazza e a dare l'allarme. Il giovane però viene subito sospettato. Per gli inquirenti gli elementi maggiormente incongruenti con il racconto del ragazzo sono le scarpe troppo pulite (come se le avesse ripulite o cambiate), in quanto avrebbe dovuto sporcarsi mentre camminava sul pavimento sporco di sangue in cerca della fidanzata, e l'assenza del sangue dai vestiti (idem: come se fossero stati cambiati).
Il 24 settembre 2007 Stasi viene arrestato ma, dopo alcuni giorni, viene scarcerato perché il GIP non convalida il fermo.
Il 17 dicembre 2009, al termine del processo di primo grado con rito abbreviato, in base all'articolo 530, secondo comma, il GUP Stefano Vitelli del tribunale di Vigevano, assolve Stasi per "mancanza di prove".
Il 06 dicembre 2011 la 2° Corte di Assise d'Appello di Milano assolve nuovamente Stasi "per non aver commesso il fatto".
Ma, colpo di scena, la Corte di Cassazione, il 18 aprile 2013, annulla la sentenza di assoluzione dei precedenti giudizi. Tra le motivazioni dell'annullamento, un esame del DNA da effettuarsi su un capello trovato tra le mani della vittima (non noto durante il primo giudizio) e su alcuni ulteriori residui sotto le unghie della vittima, repertati e mai analizzati. Nonostante l'annullamento con rinvio delle due assoluzioni, la Suprema Corte non conferma il proscioglimento, in attesa dei nuovi esami scientifici e ribadisce quanto sia difficile «pervenire a un risultato, di assoluzione o di condanna, contrassegnato da coerenza, credibilità e ragionevolezza».
Successivi sviluppi: si accerta una possibile sostituzione di pedali ad una bicicletta di proprietà della famiglia Stasi, compatibile con una bicicletta nera da donna vista da una testimone, confusa all'epoca con una bici della famiglia Poggi, sulla quale paiono esserci tracce di DNA della vittima.
Il capello castano chiaro risulta privo di bulbo (e quindi di DNA) mentre i residui sotto le unghie presentano marcatori maschili (non attribuibili a Stasi con certezza).
Una fotografia con un presunto graffio sul braccio del giovane, risulta non valida ai fini probatori perché sgranata.
Le scarpe di Stasi, secondo la perizia dei RIS del 2014, avrebbero dovuto essere sporche di sangue ancorché in maniera minima (all'epoca si sostenne che i residui si fossero persi col contatto con l'erba bagnata del prato), e quindi non potevano essere completamente pulite, come risultarono nella perizia del 2007 effettuata dalla stessa scientifica; lo stesso viene affermato del tappetino dell'auto. Secondo le nuove analisi almeno le tracce del tappetino sarebbero ematiche e l'assenza sulle scarpe indicherebbe il cambio delle calzature "incriminato".
Il 30/04/2014 si celebra il processo d'appello bis, sempre di fronte alla Corte d'Assise.
In seguito alla nuova perizia computerizzata sulla camminata e ad alcune inesattezze nel racconto del giovane, Stasi viene ritenuto colpevole e condannato a sedici anni di reclusione (pena ridotta grazie al rito abbreviato) per omicidio volontario, con l'esclusione però delle aggravanti della crudeltà e della premeditazione.
Col ricorso in Cassazione, il PM chiede la conferma della condanna e l'aggravante della crudeltà (per inasprire la pena), mentre la difesa chiede l'annullamento senza rinvio o un nuovo processo, ricollegandosi ai dubbi espressi della stessa Cassazione sull'impossibilità di determinare la colpevolezza o l'innocenza con certezza.
Il 12 dicembre 2015 la Cassazione conferma la condanna a 16 anni. Alberto Stasi si è consegnato in carcere.
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